IL MITO INTERVIENE NELLA NOSTRA VITA NON PER RIPORTARCI A MODELLI STEREOTIPATI DA SEGUIRE,MA PER AMMONIRCI E RIVELARCI CHE CON LA SUE STORIE DI METAMORFOSI,DELLA MUTABILITA’ DELLA VITA E DELLA REVERSIBILITA’ DELLE FORME, MA NON DEI VALORI. IN ESSA SI ACCEDE CON EMOZIONE CREATIVA.

INIZIEREMO A PARLARE DEI MITI CHE HANNO COME ELEMENTO RITUALE O DI RIFERIMENTO L'ACQUA.

IL  CANTO  DELLE  SIRENE

(Ligea, Leucosia e Partenope)

Nel silenzio del mare  non lontano dalle coste della Sicilia e della Calabria, un coro di tre voci di donne cercava di ammaliare i marinai.

Aveva qualcosa delle ninnananne ricordate nell’infanzia.

Gli uomini abbandonavano gli ormeggi e il timone e ascoltavano. E la fame li trovava insensibili; e la Kere veniva a prendere i loro corpi esanimi. Tutta la costa biancheggiava d’ossa portate dal mare. Era il canto delle Sirene. Ulisse l’aveva udito ma preavvisato da Circe, scampò tappando le orecchie dei suoi compagni con la cera e facendosi legare all’albero maestro. Orfeo passando sulla nave degli argonauti, osò lottare con quelle dee canore e perfide, e, vintele con la cetra ebbe la gioia di vederle precipitarsi per dispetto nell’onda e mutarsi in scogli.

Una di loro Partenope si ritiene abbia dato il nome alla città di Napoli ( sorgeva infatti un tempio dove veniva venerata, proprio a Sorrento ). Le Sirene prima del medioevo erano raffigurate alate, con volto e dorso di donna e con il resto del corpo da uccello. Erano sorelle delle Arpie e delle Lamie.

Inizialmente le Sirene sono viste come strane figure ibride, degli esseri mostruosi con il corpo d’uccello e il volto di donne, così è rappresentata la figura nel vaso attico del VI sec., trovato a Cere, e conservato al Louvre, raffigurante due esseri con corpo d’uccello e volto di donna con capelli lunghi, e accanto a uno di questi l’iscrizione: «sono una Sirena». L’antecedente più attendibile rimane il famoso « uccello dell’anima » egiziano.

Proprio la difficoltà nell’individuare la genesi della tipologia delle Sirene è l’ennesima testimonianza della straordinaria e arcana potenza di un mito, che rimanda le sue basi a quel mondo intermedio che si apre tra la vita e la morte, che rappresenta la più sofferta sfida per ogni uomo, l’avvicinarsi ad una creatura che cammina su quel sottile confine che separa l’esistenza terrena da tutto ciò che c’è «aldilà» di essa. Questa difficoltà si ripete per ogni processo culturale nel quale i primi passaggi evoluti siano stati affidati all’oralità.

L'eco delle Sirene è per la prima volta citato nelle fonti letterarie occidentali da Omero nell' Odissea.

Il poeta  ha caratterizzato il suggestivo mito delle Sirene, aprendo la strada a tutti i suoi successori, che ne hanno fissato i vari caratteri, senza ricostruirlo totalmente.

La prima testimonianza letteraria relativa al mito delle Sirene si ha, dunque, nel XII libro dell’Odissea; Circe raccomanda, con amorevole premura, ad Odisseo in che modo evitare tutti i pericoli della difficile navigazione, e tra questi primeggia quello rappresentato dall’isola delle Sirene. Circe le presenta come degli esseri che «incantano» tutti gli uomini e questo incantamento, dovuto, come abbiamo visto, al loro « limpido canto », è così dirompente da impedire il ritorno a coloro che lo ascoltano.

La letteratura posteriore arricchisce notevolmente il mito delle Sirene: da una letteratura comparativa di opere classiche si evince che, nel frammento 861 di Sofocle, è attribuita la paternità delle Sirene a Forco mostro marino personificante il mare burrascoso, figlio di Gea, la terra, e di Ponto, il mare. È interessante notare, che in Esiodo, Forco risulta essersi accoppiato con la sorella Ceto, personificazione dei pericoli che si celano nel mare, ed aver generato le Gorgonie, tre mostri alati dallo sguardo pietrificante, che vivevano in un prato fiorito che costeggiava il mare, e le Graie, che avevano forma di cigno ed in tre un solo dente.

Probabilmente Sofocle, riportando questa tradizione, rispondeva all’esigenza di accomunare vari esseri mostruosi, con una o più caratteristiche comuni, sia fisiche che comportamentali in una medesima genealogia, secondo un intento classificatorio sicuramente non estraneo alla letteratura mitologica greca.

Un’altra tradizione, la più attestata, ci indica le Sirene come nate da  Acheloo, figlio di Oceano e Teti, tanto per restare sempre in ambito marino, nonché re dei fiumi, e da diverse madri: in Luciano e in Libanio sono nate dalla terra, bagnate dal sangue uscito dal corno di Acheloo, trasformandosi in Toro per sconfiggere Eracle; un’altra madre sarebbe Sterope, una delle sette sorelle Pleiadi, tramutata dopo la morte in colomba e successivamente in stelle; come madri figurano anche alcune muse: Tersicore, Melpomene o Calliope.

Per quanto riguarda il concepimento nella prima versione, Acheloo e Gea, possiamo notare il parallelo con quello delle Erinni, nate dal sangue perso da Urano evirato quando bagnò la terra, parallelo che potrebbe mettere in risalto la caratteristica precipua delle Sirene, quelle di essere demoni infernali o comunque divinità ctonie. Le altre versioni analizzate porrebbero l’accento sul discendere da parte di madre, che le avrebbe dotate dei loro attributi più famosi e pericolosi, l’arte del bel canto e della convincente eloquenza e della capacità profetica.

Una versione racconta che, inorgoglita dalla loro grazia vocale, avessero sfidato le Muse, che, avendole, battute, strapparono loro le ali, punendole per la loro temerarietà, ed esse, umiliate, si ritirarono su delle isolette appartate, nel mare Mediterraneo, dove attiravano i naviganti, facendoli perire. Pausania dice pure che il concorso canoro aveva luogo per ordine di Era, e questa affermazione sarebbe comprovata da una statua di Era, presente a Cheronea, adorna di Piume, che recava su ambedue le mani, delle Sirene,  la versione è accettabile, ma è probabilmente da escludere l’ipotesi del Weicker, che postulava l’invenzione relativamente recente di questo episodio, proprio per motivare la particolarità di questa statua. R. Graves suggerisce l’appartenenza delle Sirene al culto pre-olimpico di una dea della morte, giustificando così la sfida con le Muse.

Nella poesia alessandrina si favoleggiò sulla trasformazione da donna a mostri: una versione tramanda che fu Afrodite l’artefice di  questa trasformazione - punizione a causa della loro natura di donne ciniche e insensibili all’amore. Si disse che Demetra aveva dato lodo il corpo d’uccello perché si erano astenute dall’aiutare la loro compagna di giochi Persefone, quando il re degli inferi stava per rapirla. Ovidio rettificò questa versione, narrando che le povere fanciulle, disperatesi perché non trovavano la loro compagna, supplicarono gli dei perché donassero loro le ali per poterla cercare anche sul mare. Pure Apollonio Rodio concorda con questa versione, ricordando la leggenda della loro appartenenza al corteo di Persefone, quando nel IV libro delle Argonautiche inserisce un episodio del mito, che ha notevoli attinenze con quello trattato da Omero: quando esse iniziarono a cantare per attirare gli eroi nel loro agguato, il celebre Orfeo comincia a suonare la sua cetra, intonando una musica vivacissima dal rapido ritmo, creando un rumore di disturbo che ebbe il sopravvento sulla loro incantevole voce; soltanto Bute si getta in mare, cercando di raggiungerle a nuoto, ma Afrodite, pietosa, lo salva. Per quanto riguarda la loro morte, bisogna ricollegarsi ancora all’episodio omerico: un bellissimo vaso di stile severo, a figure rosse conservato al British Museum, rappresenta questo episodio con una particolarità interessante: Odisseo è al centro, legato all’albero della nave, a destra e a sinistra ci sono due Sirene appoggiate a due spuntoni rocciosi, e davanti a lui una terza che sembra buttarsi a capofitto in mare. In questo vaso, forse, è rappresentata la scena del suicidio delle Sirene, umiliate e sconfitte dall’astuzia di Odisseo.

Un’altra versione narra che questo avvenne perché Demetra, trasformandole, scagliò la profezia che se qualcuno avesse oltrepassato i loro scogli vivo, esse si sarebbero dovute togliere la vita nello specchio di mare prospiciente. Frattanto assistiamo ad una modifica parziale della raffigurazione delle Sirene: i tratti del volto cominciarono ad aggraziarsi, così come la chioma, che spesso viene acconciata secondo i dettami dell’epoca appaiono sotto le ali delle braccia e anche un busto di donna, che si fonde con una coda e due artigli di uccello rapace. Le flessuose braccia servono quasi sempre per tenere strumenti musicali, forse perché la concezione delle Sirene melodiose cantanti ha portato a farne delle musiciste, infatti, nell’antichità, non si separava mai il canto dall’accompagnamento, anche se di un solo strumento.

Il più antico nome di Sirena conosciuto è quello che appare sul  vaso  del  British  Museum, « Imaropa », « dal volto desiderabile », che però si perde totalmente nella tradizione successiva.

Più recente è la genesi di un altro gruppo di Sirene, composto      da      « Parthenope »,  nome    formato    da « partenos» e la   solita radice « op » da « ora »,  da     cui « sguardo di vergine »,  « Ligheia » nome derivante dall’aggettivo a tre uscite « ligus, ligheia, ligù » significante « chiaro, limpido » spesso come attributo della voce e quindi « dalla voce chiara » e « Leucosia », dall’aggettivo   « leukos »,    la  lucente,  la       brillante, la « bianca dea ». Appare dunque, evidente la stretta correlazione tra tutti questi nomi: essi sembrano riflettere gli attributi più vari della voce, l’armonia cangiante, la grazia versatile, l’acuta limpidezza, il potere incantatore e l’astuzia persuasiva. Ma non bisogna nemmeno trascurare l’accenno alla bellezza di questi esseri, per il momento limitata al volto, che rivestirà un ruolo importante nella successiva tradizione nell’ambito dei meccanismi seduttivi. Infatti una delle più diffuse interpretazioni di questo mito, fu l’esercizio da parte delle Sirene, delle loro arti, arti che esercitavano sensualmente per portare gli uomini alla perdizione. Bisogna turarsi le orecchie con la cera per non cadere in tentazione di ascoltare i loro discorsi.

 L’uomo doveva superare nell’ambito di questa metafora, delle prove per la salvezza umana.

Così Circe aveva istruito Ulisse: « alle Sirene, prima verrai, che gli uomini / stregano tutti chi le avvicina; / chi ignaro approda e ascolta la voce; / ... ».

La  bellissima Sirena, come diceva Orazio « desinit in piscem mulier formosa superne » ( termina in pesce una donna bella di sopra! ).

È stata avanzata di recente la suggestiva ipotesi che la natura dello Stretto, l’ambiente, sia collegato ai miti, così le alghe laminarie avrebbero creato il mito delle Sirene, dai lunghi capelli, gli immensi cetacei o gli strani pesci e batifili accreditando il mito dei Ciclopi.

A proposito dei pesci, l’opera del Bracciolini ( La sacra lettera da M. V. ai Messinene, Me 1726 ) recepisce un mito sull’origine dei pescespada: questi sarebbero gli sciagurati compagni di Ulisse, trasformati in pesci, cui lasciò in ricordo le spade. È una delle tante favole create dalla fantasia popolare per fornire un suggestivo sostegno alla tesi che i pescespada comprendessero la lingua greca, opportunamente adoperata dai pescatori, proprio a causa della loro origine ellenica. 

L'immagine  che mi sono fatta delle Sirene in questi anni di studio è soprattutto quella caratterizzata dalla sommessa nenia che continuamente cantano e che fa riaffiorare alla mente sensazioni di smarrimento, che riportano alla morte.L'unico mezzo per poter cogliere tali sensazioni è quello di abbandonarsi al loro canto ammaliatore.Le Sirene si contrappongono così alle Muse, che più tardi saranno invocate ed ascoltate dagli artisti.Tale versione è ricavata dall'analisi dello stesso nome greco: "Sirene".

LA SCONFITTA DELLE SIRENE

Le  Sirene erano nei lontani tempi mitologici di cui parlano le nostre favole, le affascinanti figlie dell’Oceano.Abitavano presso l’isola di Sardegna e postate sugli scogli o fra le onde, attendevano i naviganti per incantarli.Avevano dei bellissimi corpi da donna e il corpo terminante in coda di pesce ed il loro canto era così armonioso che nessuno poteva ascoltarlo senza esserne ammaliato inesorabilmente.I marinai, nell’udire le loro voci melodiose, dimenticavano di mangiare e si gettavano sulla tolda lasciandosi consumare d’inedia, o, attratti dall’irresistibile canto e dai volti delle ammaliatrici, si gettavano a capofitto nel mare. Giasone e i suoi compagni, dopo essere fuggiti rapidamente dalla Colchide col Vello d’Oro che avevano conquistato, si erano diretti verso la Grecia. Avevano attraversato il Mar Nero, risalito il Danubio, e, attraversato il Po’ e il Rodano, erano arrivati all’isola di Sardegna, ove stavano in agguato le figlie del Mare. Esse, appena videro la bella nave costeggiare le rive, le si avvicinarono e cercarono, con i canti dolcissimi accompagnati dal suono della lira, di fermare il rapido viaggio. Ma Orfeo, il musico divino che faceva parte della spedizione, comprese il pericolo che li circondava e, affinché i marinai non udissero le insidiose canzoni, prese a suonare la sua lira. Le melodie di Orfeo erano così deliziose che tutti gli uccelli accorsero intorno alla nave per ascoltarla, i delfini circondarono la carena incantati, e persino le Sirene cessarono di modulare le loro canzoni maliarde, sedotte dalla musica del divino Orfeo. Così nel silenzio religioso degli uomini e degli animali, entro le calme acque del Mar di Sardegna, passò incolume la bella nave: a prua in piedi sulla tolda, cantava Orfeo, accompagnandosi con la lira. Cantò a lungo, instancabile, modulando dolcissimi accordi, finché la nave non ebbe superato i sinistri paraggi della Sardegna.Le Sirene attesero silenziose e tristi che il canto soave si allontanasse; poi indispettite e umiliate di essere state vinte da Orfeo, si gettarono dalle rocce in mare con i loro strumenti. Giove, pietoso, le mutò in alte scogliere dominanti le acque di Sardegna.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

LE NAIADI

 

Da sempre in tutte le mitologie l’acqua ha rappresentato l’intangibilità del mistero ricollegabile alla sua duplice natura apportatrice / predatrice di vita nello stesso tempo. Le sorgenti, le fonti, i fiumi, le fontane e i lavatoi hanno acceso la fantasia dei popoli che da sempre hanno attribuito all’acqua le caratteristiche connessioni con gli spiriti. L’acqua è connessa alle fasi lunari ed è quindi assoggettata a questa influenza misteriosa che la rende dimora di elezione per gli spiriti, le creature demoniache i morti. Frequentare i luoghi predetti di notte e con la luce  della   luna   significa    andare     a    cercarsi

« l’incontro » con gli spiriti che sono al culmine del loro potere.

Le Naiadi sono ninfe, figlie di Nereo e di Dori, che presiedevano in tutte le acque dolci della terra; si distinguevano in: Potameidi ( ninfe dei fiumi ), Pegee o Crenee o Creniadi ( ninfe delle fonti ), Limniadi ( ninfe delle acque stagnanti ).

Il culto delle Naiadi che erano considerate benefiche divinità della salute, ebbe una maggiore diffusione tra i contadini, i quali le onoravano con offerte di fiori, frutta e latte.

Giovinette dalla fresca bellezza, immagini della forza della natura, propizie e serene.

Lo scavo effettuato nel vallone Caruso di Polisà (Locri), portò all’individuazione di un santuario, ubicato all’interno di una grotta, dedicato alle ninfe protettrici di una fonte sacra.